Calcio e religione. Mai come negli ultimi tempi calcio, religione e profanità si stanno mischiando fino a diventare un tutt’uno.
Sono parecchi i calciatori, soprattutto brasiliani, che prima della partita si ritirano in preghiera, da Adriano Leite Ribeiro a Ze Maria, ex difensore di Perugia e Inter, a Kaka, che in varie occasioni ha mostrato dopo un gol la maglietta con la scritta “I belong to Jesus”. In passato all’Inter Taribo West, sacerdote della sua religione, dopo aver lasciato la difesa per portarsi in attacco durante una partita, dichiarò che era stato Dio ad ordinarglielo.
Ultimo, non per importanza, Nicola Legrottaglie che, nel programma televisivo Controcampo, intervistato nel dopo-partita del derby Juventus-Torino ha dichiarato di essere rinato sia calcisticamente che come uomo dopo un periodo difficile grazie alla sua fede in Dio.
C’è poi il difensore del Torino Matteo Rubin, che ha dichiarato di aver scelto la maglia numero 33 in onore degli anni di Cristo.
Sono tanti poi i giocatori che prima di entrare in campo baciano il terreno di gioco e poi si fanno il segno della croce o quelli che se lo fanno dopo aver sbagliato un gol, come a chiedere perdono per le imprecazioni pronunciate in preda alla foga agonistica.
Anche gli allenatori non sono da meno in quanto a scaramanzia religiosa. Basti pensare alla presunta boccetta di Acqua Santa rovesciata da Giovanni Trapattoni durante i mondiali di Corea e Giappone 2002 come a richiedere un intervento divino per il passaggio del turno. Altro esempio è quello fornito da Andrea Mandorlini, tecnico del Siena, che si presenta in panchina con il rosario in mano, così come ha fatto più volte anche Carlo Ancelotti, allenatore del Milan.
Ecco quindi che la religione entra anche nel calcio, a volte scambiata per scaramanzia, altre veramente vissuta nei suoi valori.