<< La Nord non dimentica i suoi eroi: Walter Zenga uno di noi >> è stato l’affettuoso striscione che, la sera dello scorso 13 settembre in occasione di Inter-Catania, il popolo nerazzurro ha dedicato al suo portiere più forte ed estroso di tutti i tempi (avvicinabile soltanto dal leggendario Giorgio Ghezzi, spericolato “Kamikaze” dei due tricolori consecutivi giunti a metà anni Cinquanta) riapparso sul prato del “Meazza” sei mesi dopo la suggestiva festa del centenario di cui era stato uno dei protagonisti più acclamati dalla emozionata ed entusiasta folla presente.
Situazione alquanto strana, per usare un eufemismo, quella di tornare a San Siro nelle vesti di allenatore avversario della squadra per cui si è sempre fatto il tifo, nel cui vivaio si è cresciuti e nella quale si è militato, giovanili escluse, per ben dodici stagioni: Walter Zenga, simpatico ed impulsivo milanese di Viale Ungheria classe 1960, costituisce uno di quei rari casi in cui il bambino tifoso, mutato nel corso delle annate in adolescente che segue gli incontri dalla curva, ha l’invidiata fortuna di poter essere artefice dei destini del proprio club del cuore, diventandone prima splendida promessa, poi pregevolissimo giocatore ed infine autentico simbolo.
Un sogno divenuto realtà che, attraverso grande impegno e cura dei particolari, gli ha permesso di vivere una realtà da sogno: la geniale istintività mischiata alle ottime doti fisico-tecniche lo hanno fatto eleggere miglior estremo difensore al mondo per tre anni di fila (1989,1990,1991), l’hanno premiato come miglior portiere sia all’Europeo 1988 che al Mondiale 1990 e, prima d’essere indelebilmente ribattezzato “Uomo Ragno“, gli hanno garantito un bottino di 58 presenze in Nazionale che solo l’astrusa decisione di un sedicente profeta ravennate gli ha ingiustamente impedito d’incrementare.
Una carriera perennemente esposta alle luci della ribalta, alla stregua della sua chiacchieratissima vita privata: una vita trascorsa nell’atmosfera magica della ruggente “Milano da bere” degli anni Ottanta, dove giovani tribù di Yuppies e Paninari dividevano il capoluogo lombardo in chi portava l’orologio sul polsino studiando da manager e chi vestiva il Moncler sotto una criniera immersa nel gel.
Walter, di quella Milano d’avanguardia, ne era un po’ l’emblema: reattivo e disinvolto tra i pali come quando si lanciava nella cattura di una donna, carismatico e mai banale in campo come nelle dichiarazioni post-partita o nelle frequenti apparizioni in tv.
L’unico neo di tale brillante percorso sportivo, forse, è rappresentato dal fatto d’aver vinto meno, a livello collettivo, in confronto al vistoso talento di cui disponeva: nell’ordine, uno scudetto, una Supercoppa italiana e due coppe Uefa (trofeo ritenuto d’indubbio prestigio almeno sino al 1996/’97, stagione a partire dalla quale scatterà la regola dell’accesso in Champions League consentito pure alle compagini non detentrici del massimo alloro nazionale), la seconda di queste conquistata al cospetto del proprio inneggiante pubblico per mezzo di una prestazione da indiscusso numero uno.
Un trionfante trentaquattrenne che però, quell’indimenticabile notte targata 11 maggio 1994, recava con sé l’amara consapevolezza e gli occhi inumiditi dalle lacrime di chi sapeva d’aver disputato, causa opinabile scelta dei vertici dirigenziali, la gara che segnava l’epilogo del rapporto con l’amata maglia nerazzurra.
Uno scudetto soltanto, dunque, ma non uno scudetto qualsiasi: un titolo che, per quanto riguarda i tornei a diciotto squadre, ancora oggi viene apostrofato con la sigla “dei record” (58 punti ottenuti: frutto di 26 vittorie, 6 pareggi, 2 sconfitte) e ricordato per le poderose imprese che il club del presidente Ernesto Pellegrini, matematicamente campione d’Italia già alla quintultima giornata, seppe mettere assieme.
Una straordinaria macchina da guerra, l’Inter 1988/’89, che polverizzava primati ed aveva nell’ex raccattapalle Zenga uno dei perni fondamentali: sia per ciò che concerne il rendimento offerto sul rettangolo verde che per le qualità di trascinatore, in quella strepitosa annata l’estremo difensore meneghino risultò decisivo alla stessa maniera del futuro Pallone d’Oro Lothar Matthaeus, del capocannoniere Aldo Serena, dell’amico campione del mondo Beppe Bergomi.
L’abile e strategica regia dell’esperto Giovanni Trapattoni, allenatore “evergreen” quanto le famose hit che all’epoca incendiavano radio e cuori, fece ovviamente il resto.
Sempre determinante, sempre in prima pagina, sempre a contatto con la Storia: capace di contribuire a far vincere alla Beneamata il suo tredicesimo tricolore ergendo davanti alla propria porta un muro, mentre un altro, nel medesimo anno di grazia, crollava sotto i liberatòri colpi della gente di Berlino.
Anche per questo, come cantano i sostenitori nerazzurri, “c’è solo un Walter Zenga“.
Walter Zenga è stato spesso sottovalutato come allenatore. Ora finalmente sta dimostrando tutto il suo valore.
conosco Pierluigi Avanzi e volevo soltanto precisare che non è assolutamente di parte (ovvero tifoso interista)… oltretutto non si stava riferendo a Sacchi quando scrive:”sedicente profeta ravennate”. Il Pierluigi che conosco non sputerebbe mai su un ex (e soprattutto vincente) allenatore del Milan! W l’imparzialità!!!
ciao rino…. la settimana scorsa in puglia la missione terzo incomodo è stata un completo successo,veramente inaspettato… per quanto riguarda quella cosa legale di cui ti parlavo nulla di fatto… colpa dei tribunali meridions,troppo lenti e inefficienti…
la cartola è arrivata? ti arriverà alla soglia dei 30 se il servizio è come i tribunali…
per i commenti all’articolo te ne parlerò in separata sede…
ciao germo… alla prossima,gente!
Sarebbe piaciuto vedere questo ragazzo dal vivo nei suoi anni migliori.. Walter dal cuore nerozzurro lo sognerei sulla nostra panca come vorresti tanto perchè uno come lui merita tutto.. sottovalutato da mister.. si farà le ossa.. intanto una salvezza col catania col grande aiuto sulla corsa finale l’ha già dato.. Forza INTER..
Robby